Lo Zen e il tiro con l'arco

L'uomo è un essere pensante, ma le sue grandi opere vengono compiute quando non calcola e non pensa.

il tiro con l'arco ora come allora è una faccenda di vita e di morte, in quanto è la lotta dell'arciere con se stesso.

la lotta consiste nel fatto che il tiratore mira a se stesso - eppure non a se stesso - e ciò facendo forse coglie se stesso - e anche qui non se stesso - e così è insieme miratore e bersaglio, colui che colpisce e colui che è colpito.

il tiro con l'arco non è fatto per rafforzare i muscoli. Per tirare la corda lei non deve impiegare l'intera forza del suo corpo, ma deve imparare a lasciare alle sue mani di compiere tutto il lavoro, mentre i muscoli delle braccia e delle spalle restano rilassati e non sembrano partecipare all'azione.

...facendomi forza, confessai che non ero capace di tendere l'arco nel modo prescritto.
"Lei non ci riesce" mi spiegò il Maestro "perché non respira bene. Dopo l'inspirazione spinga lentamente in giù il fiato in modo che la parete addominale si tenda moderatamente, e ve lo trattenga per un poco. Poi espiri il più lentamente e regolarmente possibile, e dopo una breve pausa riprenda rapidamente fiato - e così via in un altelnarsi di espirazione e di inspirazione con un ritmo che poco a poco si stabilirè da sé. Se l'eseguirà nel modo giusto, sentirà che il tiro con l'arco le diventerà ogni giorno più facile."

Un giorno che, per scusarmi, gli facevo osservare che io mi sforzavo coscientemente di restare rilassato, egli replicò:
"È proprio perché lei si sforza, perché ci pensa. Si concentri esclusivamente sulla respirazione, come se non avesse altro da fare."

Un grande maestro deve essere allo stesso tempo anche un grande educatore [...]
Se avesse iniziato l'insegnamento con esercizi di respirazione, non avrebbe mai potuto convincerla che lei deve ad essi qualcosa di decisivo. I suoi tentativi dovevano prima naufragare perché lei fosse pronto ad afferare il salvagente che lui le offriva.

Non pensi a quello che deve fare, non rifletta sull'esecuzione! Il colpo fila liscio solo se sorprende il tiratore stesso. Deve essere come se la corda tagliasse improvvisamente il pollice che la trattiene.

Sa perché non può attendere che il colpo parta e perché il fiato le viene a mancare prima che il colpo sia partito? Il tiro giusto nel momento giusto non viene perché lei non si stacca da se stesso. Lei non è teso verso il compimento, ma attende il proprio fallimento. Finché le cose stanno così non le resta altra scelta che provocare lei stesso un accadimento che è indipendente da lei, e fintanto che lei lo provoca, la mano non si apre nella maniera giusta [...]
Quanto più lei si ostinerà a voler imparare a far partire la freccia per colpire sicuramente il bersaglio, tanto meno le riuscirà l'una cosa, tanto più si allontanerà l'altra. Le è ostacolo una volontà troppo volitiva. Lei pensa che ciò che non fa non avvenga.[...]
Noi maestri d'arco diciamo: un colpo - una vita!

- Che debbo dunque fare?
- Imparare la giusta attesa.
- E come si impara?
- Staccandosi da se stesso, lasciandosi dietro tanto decisamente se stesso e tutto ciò che è suo, che di lei non rimanga altro che una tensione senza intenzione.

Anche la via del distacco da se stessi il Maestro la suddivise in singole parti[...]
Quanto più intensamente l'attenzione si concentra sulla respirazione, tanto più si smorzano gli stimoli esterni.[...]
Ci si trova ben presto isolati come da cortine impenetrabili. Si sa e si sente soltanto che si respira.[...]

Questo felice stato di inconturbabile raccoglimento da principio non dura purtroppo a lungo. Minaccia di esere distrutto dall'interno. Come sorgenti dal nulla affiorano improvvisamente stati d'animo, sentimenti, desideri, preoccupazioni e persino pensieri in una mescolanza assurda, e quanto più lontani e singolari sono e quanto meno hanno a che fare con l'oggetto della nostra consapevolezza, tanto più si aggrappano ostinatamente. Si direbbe che vogliano vendicarsi del fatto che la concentrazione tocca zone che solitamente essi non raggiungono. Ma anche qui si riesce a difendersi da tale intrusione se, continuando a respirare tranquillamente, si accoglie con serenità ciò che si presenta, ci si abitua ad assistervi da semplici spettatori, sino a che si è finalmente stanchi dello spettacolo. Così si giunge gradatamente a uno stato d'abbandono che somiglia a quel dormiveglia che precede il sonno. Scivolarci definitivamente è il pericolo che bisogna evitare. Lo si affronta con un particolare scatto della concentrazione, paragonabile al riscuotersi di uno che, sfinito da una notte di veglia, sa che dalla vigilanza di tutti i suoi sensi dipende la sua vita; e se tale scatto è riuscito anche una volta sola, si riuscirà sicuramente a ripeterlo. Per esso l'anima, come da sola, si ritrova quasi a librare entro se stessa, una condizione che, capace di crescere di intensità, si solleva addirittura a quel senso di incredibile leggerezza, sperimentato solo in rari sogni, e di felice certezza di poter destare energie rivolte in ogni direzione e di saperle accrescere o sciogliere a ogni livello.

- Ma come può partire il colpo se non lo tiro "io"?
- "Si" tira.
- [...] come posso attendere il tiro, dimentico di me, se "io" non devo entrarci per nulla?
- "Si" permane nella massima tensione.
- E chi o che cosa è questo "si"?
- Quando l'avrà compreso non avrà più bisogno di me.

un giorno, dopo un tiro, il Maestro s'inchinò profondamente e interruppe la lezione. "Proprio ora "si" è tirato" esclamò.

Come avvenisse che partissero da soli, senza il mio intervento, come accadesse che la mia mano destra, quasi chiusa, si aprisse improvvisamente e scattasse indietro, non lo sapevo spiegare allora nè so spiegarlo oggi.

all'interno, per l'arciere stesso, i tiri giusti producono un tale effetto che gli sembra che il giorno sia cominciato solo allora. Dopo quei tiri egli si sente disposto a ogni giusta attività, o, ciò che è ancora più importante, a ogni giusta inattività. È una condizione meravigliosa. Ma chi vi si trova, ammonisce il Maestro con un fine sorriso, fa bene a starci come se non ci si trovasse.

Per l'ambizioso, che conta quante volte fa centro, il bersaglio non è che un povero pezzo di carta che egli fa a pezzi.

Lei si preoccupa inutilmente, si tolga dalla mente il pensiero di colpire nel segno!

Che le viene in mente? Dei colpi cattivi non deve irritarsi, questo lo sa da un pezzo. Impari anche a non rallegrarsi di quelli buoni. Lei deve liberarsi dall'altalena del piacere e dispiacere. Deve imparare a starne al di sopra con distacco e indifferenza e perciò a rallegrarsi come se un altro e non lei avesse tirato bene.

- "Capisce ora che significa:"si" tira, "si" colpisce?"
- "Io temo di non capire più nulla, anche la cosa più semplice mi si confonde. Sono io che tendo l'arco, o è l'arco che mi trae alla massima tensione? Sono io che colpisco il bersaglio o è il bersaglio che colpisce me? Quel "si" è spirituale agli occhi del corpo e corporeo agli occhi dello spirito - è ambedue le cose o nessuna delle due? Tutto questo, arco freccia, bersaglio e Io si intrecciano tra loro in modo che non so più separarli. E persino il bisogno di separarli è scomparso. Perché non appena tendo l'arco e tiro, tutto diventa così chiaro e naturale e così ridicolmente semplice..."
- "Proprio ora" mi interruppe il Maestro "la corda dell'arco l'ha trapassata da parte a parte".

L'arte del tiro con l'arco porta questo con sè: l'arciere affronta se stesso fin nelle ultime profondità.

Un colpo - una vita. In tale colpo, arco, freccia, bersaglio e Io si intrecciano in modo che non è possibile separarli: la freccia scoccata mette in gioco tutta la vita dell'arciere e il bersaglio da colpire è l'arciere stesso.

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